Recensione: Il bambino con la fionda, di Vanna De Angelis
“Vento, ecco cosa c’è qui; tu ed io veniamo risucchiati dalla tempesta che ci scaraventa sulla spiaggia. Ci aggrappiamo agli scogli per non essere trascinati via dal terribile ventaccio. Improvvisamente…guarda…ecco apparire, lontano, un albero altissimo. Il vento nero come il fumo delle bombe lo piega, lo ghermisce, ma quello non si spezza mai. Eccolo il robusto senso morale; non perderlo mai di vista da ora in poi.”
Marek è confuso: ha nove anni, e non riesce ancora a capire il conflitto tra bene e male nella Polonia assediata dai nazisti. Intorno a lui, intanto, la famiglia lotta per vivere, per mantenere l’identità e la dignità umana, per continuare a sperare in un futuro migliore. “E’ il robusto senso morale” dice sua madre “che ti fa capire cosa è giusto, anche nella situazione peggiore”. Anche quando i soldati portano via i suoi genitori. Anche quando rimane solo nel ghetto di Varsavia. Anche quando tutto è inghiottito dal fuoco e dal fumo.
“Il bambino con la fionda” è principalmente un romanzo storico di denuncia, una testimonianza dell’atrocità della guerra, raccontata attraverso la voce di un bambino che vede tutto con troppa chiarezza. Davvero troppa, a mio giudizio. Lo scopo della narrazione non è infatti volta tanto a presentare le vicende di un personaggio, quanto a fare del protagonista il bersaglio universale della crudeltà umana, alla quale oppone una difesa fatta di principi, rispetto della vita e amore per i propri cari. Un moderno Davide bambino contro il Golia del nazismo, come la stessa autrice scrive. Solo, in questo caso, Davide non è destinato a vincere Golia.
Il libro si basa soprattutto sulla suggestione, volta a far riflettere il lettore ed a sollecitarne la tristezza e la rabbia contro le orribili vicende passate. In questo contesto, la veridicità dei caratteri appare molto sacrificata: i vari personaggi, patrioti e moralisti fin quasi all’inverosimile, sono solo un pretesto per dare la giusta cornice ad una climax discendente di eventi che si protrae dalla prima all’ultima pagina. Le righe sono piene di anticipazioni riguardo ai successivi sviluppi, sebbene nulla venga lasciato trapelare a proposito della conclusione; questo espediente stimola la curiosità del lettore, ed al tempo stesso lo prepara al seguito della storia; in tal modo la sorpresa è smorzata, ma l’effetto empatico è molto più grande. Il linguaggio stesso è fatto di frasi secche, brevi ed immediate, cariche di significato, che colpiscono la mente come tante frecce.
In definitiva, “Il bambino con la fionda” è un romanzo scritto per far piangere, un condensato di tutto il male perpetuato al tempo della seconda guerra mondiale. Un libro scorrevole e sensazionalista, una versione amplificata e concentrata della realtà.
Chiara Tremaroli
Link ad altri libri della collana Piemme voci:
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